NON DI QUESTO MONDO

Breve viaggio alla scoperta di realtà chitarristiche estranee ai pianeti Statocaster e Les Paul

 


“Sul finire del ventesimo secolo e per alcuni decenni a venire, gli abitanti dei due grandi pianeti Stratocaster e Les Paul, fiaccati da una guerra che durava ormai da quasi mezzo secolo e decisi ad esplorare nuovi mondi, abbandonarono le terre d’origine per occuparne di nuove e indirizzare la propria creatività in altre direzioni usufruendo delle innovazioni tecnologiche e delle competenze portate con se per rimodellare la materia secondo queste conoscenze.
Se inizialmente il forte istinto di conservazione, impedì di staccarsi radicalmente dalla tradizione, lentamente si videro emergere tentativi di rinnovamento.
Tuttavia le due grandi superpotenze, grazie alla propria solidità politica e a una notevole abilità propagandistica riuscirono a protrarre gli effetti del conflitto, anche una volta raggiunta un’apparente intesa, influenzando l’opinione pubblica in modo da mantenere una sorta di costante diffidenza reciproca, ma soprattutto contribuendo all’emarginazione e alla progressiva estinzione delle nuove colonie.
Ciò non significa però che l’evoluzione delle civiltà lì sorte non abbia lasciato segni del loro passaggio…”

 

VELENO GUITARS

Già alla fine degli anni sessanta John Veleno provò a dire l’ultima parola riguardo all’antico dibattito sull’importanza del legno nella costruzione di una chitarra elettrica a corpo solido.

Veleno, operaio in un’azienda che fabbricava scatole in alluminio, nonché chitarrista non proprio affermato, a seguito di una serie di circostanze fortuite, accolse il suggerimento di costruire una chitarra totalmente in alluminio.

Dopo diversi tentativi, finalmente nel 1967 vide la luce il primo prototipo, ma quello di Veleno non era un nome conosciuto nell’ambito della scena musicale e ci volle qualche anno prima che la diffidenza dei più e qualche timido approccio da parte di Joe Walsh e Jorge Santana (fratello di Carlos) potessero tramutarsi nel reale entusiasmo di qualche musicista affermato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uno dei primi a rimanere impressionato dall’eccentricità dello strumento di Veleno, fu Marc Bolan, che oltre ad acquistarne un esemplare per se, ne regalò anche uno a Eric Clapton.

Purtroppo oltre all’enorme vantaggio di una stabilità che era impossibile ritrovare nelle chitarre in legno, vi erano altre caratteristiche che la resero tutt’altro che amichevole, come la poca gradevolezza al tatto dovuto alla freddezza dell’acciaio (considerando inoltre la resistenza che il chitarrista tipo oppone a qualsiasi cambiamento) e le difficoltà di bilanciamento dello strumento e che contribuirono probabilmente al calo di popolarità che fece seguito all’iniziale, anche se non immediato, entusiasmo dimostrato da musicisti affermati come Mark Farner dei Grand Funk Railroad, Greg Allman, Sonny Bono, Alvin Lee fino a Todd Rundgren che ne commissionò un modello su sue indicazioni denominato Ankh per via della sagoma che riprendeva il simbolo egizio della croce ansata.

 

DAN ARMSTRONG AMPEG LUCITE

Appurata la possibilità di realizzare chitarre elettriche utilizzando materiali alternativi al legno, non restò che sperimentare con le innumerevoli opportunità delle quali si poteva disporre.

Dan Armstrong fu uno dei primi a mettersi all’opera e intorno al 1969 lanciò sul mercato una chitarra dotata di un corpo in plexiglass trasparente sul quale andava ad avvitarsi un manico in acero con tastiera in palissandro.

La densità del materiale garantiva un sustain molto lungo favorito dall’eliminazione di qualsiasi disturbo che poteva intervenire sulla vibrazione delle corde.

La collaborazione con Bill Lawrence (che proseguì per tutta la durata dell’attività di Dan Armstrong), diede origine a una serie di sei specifici pick up che rispondevano alle particolari necessità probabilmente imposte da un materiale diverso e identificati con i nomi dei generi musicali per i quali erano concepiti, ma soprattutto realizzati in modo da poter essere facilmente sostituiti tra di loro con poche semplici manovre.

E’ da sottolineare come, prima ancora che la qualità dello strumento, un impatto visivo così evidente, abbia giocato un ruolo determinante nell’iniziale successo della rivoluzionaria proposta di Armstrong e così già subito dopo il lancio sul mercato, Keith Richards e Bill Wyman calcarono il palco entrambi con un modello “Lucite” e negli anni successivi fino ai giorni nostri i chitarristi a farne uso saranno veramente molti a partire da Ron Wood a Joe Perry, da Tom Petty a Dave Grohl, da Josh Homme a Slash.

 

TRAVIS BEAN

Clifford Travis Bean, insieme a Marc McElwee e Gary Kramer, provò nel 1974 a proseguire sulla strada intraprese quasi una decina di anni prima da John Veleno.

Di fatto, i suoi strumenti erano costituiti da un unico blocco di alluminio forgiato affinché formasse il manico e buona parte del corpo, sul quale erano installati sia i pick up, che il ponte oltre ovviamente alle meccaniche.

Il poco legno utilizzato parve essere soltanto una concessione alla tradizione, per permettere ai suoi strumenti di mantenere forme riconoscibili, ma anche nella scelta del tipo di legname, ovvero il Koa, un’acacia tipica dell’arcipelago hawaiano normalmente usato nella costruzione degli ukulele (ma anche di canoe e tavole da surf), Travis ribadiva la volontà di differenziarsi.

Gli strumenti così prodotti, garantivano una grande stabilità nonostante un peso molto minore rispetto alle tradizionali chitarre in legno.

Uno dei più famosi aficionados del marchio fu Jerry Garcia dei Grateful Dead che utilizzo prevalentemente la TB1000 Artist dotata di una coppia di humbucker, alternandola con la TB500 che montava invece tre single coil.

Il sodalizio tra Travis Bean e Gary Kramer si concluse già nel 1975 con la fondazione della Kramer Guitars e la produzione di chitarre che si rifacevano in tutto e per tutto alle TB con piccole variazioni strutturali che permettevano di estinguere sul nascere eventuali diatribe giudiziarie.

 

VALCO AIRLINE

Se si parla di tutto quanto possa essere definito, nel bene e nel male, vintage, Jack White può essere un efficace guida per addentrarsi nei meandri dell’ignoto e scoprire che già nel 1958 qualcuno aveva anticipato, anche se con scopi diversi, le iniziative di John Veleno, Dan Armstrong e Travis Bean.

Tra i tanti strumenti non famosissimi che si sono visti passare tra le mani di White, ce n’è almeno uno con caratteristiche particolari marchiato Airline prodotto dalla Valco a sua volta emanazione della National String Instrument Corporation.

La grande peculiarità di questo strumento era quella di essere costituita da un involucro in materiale plastico che ospitava un sottile listello in legno sul quale erano montati il manico e l’hardware.

La Airline montava due pick up che a prima vista appaiono come una coppia di humbucker, ma sono in realtà due single coil ed avevano un loro volume indipendente con il relativo tono, ma sul corpo della chitarra era montato un ulteriore controllo che agiva come una sorta di master volume.

Nonostante si trattasse di chitarre concepite per rispondere alla richiesta di strumenti economici, paradossalmente i costi di produzione si rivelarono in rapporto piuttosto elevati e non è da escludere che a lungo andare l’interesse verso una chitarra in plastica, sia velocemente scemato, giustificando la scelta della Eastwood che attualmente produce una replica della Airline realizzata nel più convenzionale legno.

 

DANELECTRO CORAL SITAR

Ma gli anni sessanta furono anni particolarmente creativi e guardarsi intorno alla ricerca di nuovi spunti era un’attività che qualunque individuo con la sufficiente apertura mentale, era ben disposto a esercitare.

Fu così che il crescente interesse nei confronti di sonorità provenienti da luoghi distanti dalle capitali occidentali della pop music, portò all’ascolto e all’utilizzo di alcuni strumenti esotici.

Furono diversi i gruppi che introdussero sapori particolari nei loro brani e quando in alcuni brani dei Beatles comparve l’esotica voce del Sitar la popolarità di quello strumento crebbe in maniera esponenziale al punto da renderlo familiare e riconoscibile.

Nathan Daniel, deus ex machina della Danelectro e Vincent Bell collaborarono quindi al progetto di un Sitar elettrico, che venne successivamente realizzato e commercializzato per mezzo del marchio Coral, una sorta di etichetta parallela per il lancio di strumenti più costosi.

In concreto si trattava di una chitarra intonata secondo l’accordatura standard dotato però di un ulteriore set di tredici corde, tramite la cui risonanza era possibile ottenere il particolare effetto tipico del Sitar.

Come prevedibile per soddisfare le necessità di un tale strumento fu necessario equipaggiarlo con un hardware specifico e quindi dotarla di tre ponti, uno per le sei corde “principali” e due realizzati in palissandro per le corde di risonanza , mentre i tre pick up lipstick erano in linea con la produzione Danelectro.

Osservando le immagini reperibili in rete colpisce la finitura “Textured Bombay Red” che appare non così superata come la data di produzione dello strumento potrebbe giustamente far pensare.

Come prevedibile lo strumento non fu mai una scelta definitiva per nessun chitarrista, ma servì spesso per sperimentare nuove ricette con ingredienti meno scontati e così lo si vide dal vivo o più spesso in studio, tra le mani di Rory Gallagher, di Pat Metheny, di Steve Howie, di Tom Petty, di Dave Stewart, di James Hetfield e più di recente imbracciato da Andrew VanWyngarden dei MGMT.

 

GODWIN ORGAN

Il nostro paese nel dopoguerra comunque non stava a guardare e all’ottima produzione di strumenti musicali tradizionali affiancava un’altrettanto valida produzione di chitarre elettriche che durante gli anni sessanta riscontrarono un successo in grado di competere con realtà certamente più affermate.

Se è vero che siamo un popolo di visionari, non sorprende che uno degli esperimenti più stravaganti e innovativi in fatto di chitarre e affini fosse il parto di un’azienda italiana.

Prodotta con il marchio Godwin e distribuita dalla Sisme, azienda anconetana tutt’ora attiva, la chitarra permetteva per mezzo di un complesso circuito di simulare un organo elettrico come il celebre Hammond.

Il top della chitarra era interamente occupato da una serie di comandi che replicavano ad esempio le drawbars o permettevano di tarare la percussione come in un vero Hammond B3 o C3 ma lo strumento poteva essere utilizzato anche come una semplice chitarra elettrica per mezzo di una coppia di single coil, formato lipstick.

Se esteticamente l’effetto era tutt’altro che seducente, il risultato sonoro doveva essere al contrario particolarmente riuscito visto che uno dei sostenitori dell’esperimento fu Peter Van Wood, talmente entusista da dedicargli addirittura un album dal titolo “Van Wood and His Magic Guitar Organ”, facendosi ritrarre in copertina con la chitarra lanciata dalla Godwin.

 

MARTIN E18 / Em18 / EB18

Per quanto la Martin Co. fosse universalmente riconosciuta come uno dei maggiori produttori di acustiche di qualità, può essere comprensibile, almeno da un punto di vista commerciale, che negli anni settanta il più redditizio mercato della chitarrra elettrica potesse essere particolarmente appetibile.

La collaborazione con Dick Boak permise alla Martin Company, di tentare nuovamente l’inserimento in un mercato che fino ad allora l’aveva respinta.

La E18, aveva un corpo assemblato composto da 9 pezzi in acero e palissandro, mentre il manico era in mogano e veniva incassato ed incollato al body.

La finitura Natural conferiva forse una certa continuità con il campo delle acustiche nel quale Martin era regina incontrastata, ma probabilmente gli standard estetici degli ormai prossimi anni ottanta, erano distanti da quanto proposto dall’azienda di Nazareth nell’ambito delle chitarre elettriche e la difficoltà nel trovare testimonianze che ne dimostrino l’utilizzo da parte di chitarristi celebri, escluso il non certo famosissimo Dave Heumann degli Arboretum, sembra certificare che il tentativo della Martin si rivelò per l’ennesima volta fallimentare.

 

OVATION UKII

Anche Ovation certamente più conosciuta per i suoi strumenti acustici, tentò in diverse occasioni di aggredire il mercato delle elettriche, qualche volta con qualche timido riscontro positivo come nel caso della Breadwinner, apprezzata da Ace Frehrley, Robert Smith e Steve Marriott, ma lo strumento che propose nel 1979, la UKII acronimo per Ultra Kaman II, aveva caratteristiche costruttive sicuramente degne di nota.

Il body era realizzato in schiuma poliuretanica su uno scheletro in alluminio, mentre il manico era in mogano con tastiera in ebano e la consueta attenzione costruttiva garantita da Ovation era una certificazione riguardo alla qualità dello strumento, nonostante le riserve alle quali il materiale utilizzato potrebbe dare adito.

Gli humbucker a doppia lama erano prodotti dalla stessa Ovation, con un elevato numero di avvolgimenti che fornivano un output piuttosto alto, ma tutt’altro che rumoroso e l’hardware era selezionato per assicurare una perfetta stabilità.

A dispetto di tutti gli attributi di pregio dei quali la UKII poteva fregiarsi, il riscontro fu del tutto negativo e la produzione si interruppe già nel 1982.

Neal Schon e Steve Hackett sembrano essere stati due utilizzatori della Ultra Kaman II, ma non ci sono o comunque non sono facilmente reperibili testimonianze iconografiche che lo confermino.

 

SHERGOLD MODULATOR

Jack Golder e Norman Houlder fondarono nei tardi anni settanta la Shergold. L’intenzione fu da subito quella di realizzare strumenti artigianali, parzialmente eredi dell’esperienza che Jack aveva acquisito lavorando alla Hayman e la produzione per quanto limitata si estese ad un parco che comprendeva diversi modelli.

Ma il vero fiore all’occhiello dell’azienda londinese era la Modulator, una chitarra che permetteva l’intercambiabilità di tutta l’elettronica con una semplice e rapida operazione.

Vennero messi in commercio 8 moduli, denominati semplicemente con il numero corrispondente e con l’obiettivo di rispondere a determinate caratteristiche riferibili ad altre chitarre famose (le scontate Telecaster e Les Paul) o particolari configurazioni come l’inversione di fase.

La forza dell’azienda fu quella di poter realizzare su richiesta strumenti molto particolari. Mike Rutherford commissionò la realizzazione di un ibrido basso/chitarra 12 corde, ma la vera stranezza consisteva nel fatto che i due strumenti potevano essere separati ed eventualmente uniti ad altri, fornendo la possibilità di configurare la propria strumentazione a seconda delle necessità del momento.

Il marchio non raggiunse mai un grandissimo successo anche a causa della sua stessa politica aziendale chiaramente indirizzata in una nicchia di mercato, ma furono diversi i sinceri amanti delle chitarre prodotte, soprattutto nell’ambito della new wave dei primi anni ottanta, rappresentata in questo caso da Julian Cope dei Teardrop Explodes, ma anche da Ian Curtis e Peter Hook dei Joy Division che in diverse occasioni calcarono le assi del palcoscenico suonando una Shergold Masquereder e a conferma del culto che circonda questo particolare modello, negli ultimi anni l’azienda ha immesso sul mercato una serie di modelli aggiornati che in realtà appaiono ispirati ma non fedelissimi al disegno originale.

GITTLER

Se Clifford Travis Bean, Dan Armstrong e John Veleno avevano dimostrato che una chitarra elettrica poteva essere costruita nei materiali più svariati senza comprometterne la funzionaità, Mr. Gittler andò ancora oltre riducendo a tal punto il corpo della sua chitarra da trasformarlo esclusivamente in un solido scheletro in acciaio.

Una tale struttura impediva come ovvio un assemblaggio tradizionale e pertanto richiedeva particolari accorgimenti per permetterne l’amplificazione o anche solo l’installazione delle corde.

Ogni corda aveva un suo pick up e ogni segnale poteva essere inviato separatamente ad un impianto per essere miscelato successivamente.

Certamente queste caratteristiche indubbiamente innovative oltre all’assenza di un ponte tradizionale, rendevano meno immediata la manutenzione dello strumento.

Quando Gittler cedette il brevetto all’israeliana Astron Engineer Enterprises LTD, l’azienda mise in produzione un modello meno essenziale, che prevedeva un corpo in materiale plastico, non molto dissimile dalla più famosa Steinberger.

L’unica testimonianza del suo utilizzo da parte di un musicista celebre è visionabile nel videoclip di “Synchronicity II” dei Police, dove Andy Summers è ripreso mentre maneggia questo curioso strumento apparentemente più per esigenze di scena, vista la natura delle immagini, che per un reale apprezzamento , ma trattandosi di un oggetto veramente inconsueto non stupisce che il MoMa di New York e il Museum of Fine Arts di Boston abbiano tra le opere esposte anche una Gittler e che la si sia vista invece molto più raramente tra le mani di un chitarrista.


“… ed è auspicabile che le nuove generazioni siano in grado di fare tesoro di quanto costruito per affrontare nuove imprese volte a confermare che possono esistere alternative alle comode convenzioni entro le quali siamo soliti costringerci.”


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Moreno Viola Written by: